mercoledì, aprile 01, 2009

a volte ritornano

Cominciò da un sasso.
Era lì, bianco e abbastanza liscio, sembrava dire: prendimi. E lei lo prese.
Lo rigirò tra le mani; lo avvicinò poi al naso, per sentirne l’odore. Un fiore di sasso, un sasso salato: in quella spiaggia ciottolosa non ci si poteva aspettare dell’altro.
Ecco, così lo aveva fatto un’altra volta: aveva quel sasso in mano e sapeva che sarebbe stato difficile buttarlo via, gettarlo a terra, ridonandogli la sua qualità di sasso qualsiasi. Esiste un sasso qualsiasi?
Spostando lo sguardo leggermente a sinistra, fu chiamata da un altro sasso. Questa volta lo scelse perché era ruvido e si sentiva dallo sguardo. Era un sasso scuro, nero, senza alcuna venatura. Era come se il lavoro del mare su di lui non potesse muovere nulla, un artigianato a tempo perso, per perdere tempo. Quei lavori fatti in fretta e fatti male. Ma il bello era quello: era un sasso della domenica. Da domenica di mare e d’inverno, quando sembra bello anche un sasso nero e ruvido e salato. E lo è.
Si piegò e raccolse anche quest’altro, perché nessuna minima vocazione potesse dirsi inascoltata.
Se qualcuno l’avesse accompagnata lì, quella domenica, forse non si sarebbe ritrovata a raccogliere quei due sassi, forse sarebbe stata seduta sul muricciolo a parlare con qualcuno di qualcuno lontano (perché c’è sempre qualcuno lontano di cui parlare).
Ecco, era meglio così. Quei sassi avevano bisogno di una casa. Quei sassi l’avevano chiamata.
Quei sassi che ora parlavano tra di loro, facendo piano, nella sua tasca. Quei sassi che si scusavano tra di loro, quando, a causa dei bruschi movimenti, si ritrovavano a cozzare l'uno contro l'altro. Quei sassi che, se lei non li avesse messi insieme lì, nella sua tasca, probabilmente non si sarebbero conosciuti mai.

1 commento:

Anonimo ha detto...

che bello leggerti, ainda cara.
un abbraccio anonimo, o quasi

(caterina era la mia firma?)